Successivamente alla pubblicazione dei suoi celebri articoli del 1904, Albert Einstein iniziò ad indagare sulle conseguenze della teoria della relatività ristretta, giungendo ad una serie considerazioni che lo portarono completare nel 1916 la teoria della relatività generale.

In particolare nel suo articolo On the relativity principle and the conclusion drawn from it del 1907, mediante la consueta tecnica basata su esperimenti mentali, egli confronta i fenomeni che si possono rilevare in due sistemi di riferimento, il primo uniformemente accelerato e il secondo soggetto ad un campo gravitazionale.

Si immagini ad avere due capsule al cui interno si trovano altrettanti osservatori, la prima è completamente isolata da qualunque altro corpo ed è spinta da una forza costante (come potrebbe essere quella generata da dei razzi); il suo è quindi un moto uniformemente accelerato con accelerazione un certo valore a; la seconda al contrario è ferma sulla superficie di un pianeta dove l’accelerazione di gravità è esattamente -a.

L’osservatore nella prima capsula avverte una forza verso il basso per via dell’accelerazione che subisce (ciò che in genere si definisce “forza apparente”), mentre all’interno della seconda capsula l’osservatore avverte il proprio peso per l’azione della gravità del pianeta. Supponendo che non sussiste la possibilità di guardare all’esterno e che eventuali scossoni e rumori dovuti all’azione del sistema di propulsione sono perfettamente attutiti, l’osservatore che si trova all’interno di una delle due capsule non è in grado di stabilire se la forza che percepisce è dovuta all’accelerazione della cabina o alla gravità: le due condizioni sono da questo punto di vista equivalenti.

Einstein partì dall’ipotesi che le due situazioni sopra esposte siano perfettamente equivalenti non solo sotto l’aspetto della sensazione del peso avvertita dall’osservatore, ma per qualunque altro tipo di fenomeno osservabile e giunse ad una serie di conseguenze che aprono la strada allo sviluppo della relatività generale. Analizziamo quanto succede all’interno della capsula in accelerazione; scelto opportunamente il sistema di assi cartesiani, possiamo descrivere il moto del suo pavimento mediante l’equazione y_p=\frac{1}{2} a t^2, mentre il soffitto che si trova ad un’altezza h dal pavimento ha come equazione oraria del moto y_s=h+\frac{1}{2} a t^2.

Se all’istante t=0 da s viene emesso un segnale luminoso, da queste equazioni si ricava la posizione della sorgente in questo istante: y_s(0)=h. Supponiamo che il segnale luminoso impieghi un tempo t_1 per giungere al pavimento p; muovendosi alla velocità della luce c esso percorrerà uno spazio c t_1. Dal momento che il pavimento si muove verso il soffitto sarà certamente c t_1 \lt h e in particolare il segnale arriverà al pavimento quando questi si trova in y_p(t_1)=\frac{1}{2} a t_1^2.

La lunghezza del tratto percorso dalla luce si otterrà risolvendo l’equazione y_s(0)-y_p(t_1)=c t_1 ovvero h - \frac{1}{2} a t_1^2 = c t_1.

Poiché il moto è uniformemente accelerato la velocità della capsula segue la legge v = a t, pertanto dalla precedente otteniamo h - \frac{1}{2} v t_1 = c t_1, che risolta rispetto a t_1 ed effettuando un’approssimazione binomiale1Applichiamo l’approssimazione (1+x)^\alpha \approx (1 + \alpha x), purché v \ll c possiamo scrivere: t_1 = \frac{h}{c} \frac{1}{1+\frac{1}{2}\frac{v}{c}} \approx \frac{h}{c} \left( 1-\frac{1}{2}\frac{v}{c}\right).

Ad una distanza temporale \Delta\tau dal primo segnale dal soffitto viene inviato un secondo segnale; emesso all’istante t=\Delta\tau, arriverà al pavimento ad una distanza temporale \Delta t dall’arrivo del primo segnale, ovvero all’istante t_2=t_1+\Delta t.

Analogamente a quanto fatto prima risolviamo l’equazione

y_s(\Delta \tau)-y_p(t_1 + \Delta t)=c \left[ (t_1 + \Delta t) - \Delta \tau \right] , ovvero

h + \frac{1}{2} a \Delta \tau^2 - \frac{1}{2} a (t_1 + \Delta t)^2=c \left[ (t_1 + \Delta t) - \Delta \tau \right] , da cui si ottiene

h - \frac{1}{2} a \left( t_1^2 - 2 t_1 \Delta t + \Delta t^2 -\Delta \tau^2 \right)=c \left[ (t_1 + \Delta t) - \Delta \tau \right] .

I punti s1 e s2 rappresentano rispettivamente gli eventi partenza dal soffitto del primo e secondo segnale, mentre p1 e p2 l’arrivo di questi segnali al pavimento.

Poiché i termini \Delta t^2 e \Delta\tau^2 sono infinitesimi rispetto agli altri termini si possono ignorare e pertanto la precedente equazione si può riscrivere come

h - \frac{1}{2} a \left( t_1^2 - 2 t_1 \Delta t \right)=c \left[ (t_1 + \Delta t) - \Delta \tau \right] .

Per differenza tra l’equazione relativa al primo segnale e quella del secondo segnale otteniamo:

\left[ h - \frac{1}{2} a \left( t_1^2 - 2 t_1 \Delta t \right) \right] - \left[ h - \frac{1}{2} a t_1^2 \right]=c \left[ (t_1 + \Delta t) - \Delta \tau \right] - c t_1

e quindi

a t_1 \Delta t = c (\Delta t - \Delta \tau ).

Quest’ultima risolta per \Delta \tau diventa \Delta \tau = \left( 1 - \frac{a}{c} t_1 \right) \Delta t. Tenendo conto della relazione t_1 =\frac{h}{c} \left( 1-\frac{1}{2}\frac{v}{c}\right) si ottiene

\Delta \tau = \left[ 1 - \frac{a h}{c^2} \left( 1-\frac{1}{2}\frac{v}{c}\right) \right] \Delta t.

Dal momento che abbiamo supposto v \ll c possiamo scrivere \Delta \tau \approx \left( 1 - \frac{a h}{c^2} \right) \Delta t.

Questo risultato ha come immediata conseguenza una differenza nella misura del tempo rilevabile tra il soffitto e il pavimento della capsula e dal momento che2Considerato inoltre che un’accelerazione negativa non farebbe altro che scambiare i ruoli tra soffitto e pavimento. \left( 1 - \frac{a h}{c^2} \right) \lt 1 si ha \Delta t \lt \Delta \tau pertanto sul pavimento della capsula il tempo scorre più lentamente rispetto al soffitto: due orologi identici, il primo attaccato soffitto e il secondo al pavimento segneranno tempi diversi, il primo sarà più veloce e il secondo più lento.

L’orologio sul pavimento sarà più lento dell’orologio sul soffitto per le conseguenze del principio di relatività.

Dal momento che sussiste una sproporzione tra i termini del rapporto \frac{a h}{c^2} in favore del denominatore, l’ordine di grandezza della differenza dei tempi, in una capsula di pochi metri accelerata al più a qualche g è davvero insignificante e difficile da rilevare e pertanto questo risultato potrebbe essere assimilato ad una delle tante particolari conclusioni controintuitive che si incontrano nello studio della relatività ristretta. Eppure da ciò discende un’importante conseguenza; confrontando le osservazioni che si possono effettuare all’interno di questa capsula con ciò che si verifica all’interno di una capsula identica ma ferma e soggetta alla gravità di un vicino corpo massiccio: gli osservatori all’interno di ciascuna delle due capsule percepiscono una forza verso il basso ma non sono in grado di distinguere l’origine di tale forza. Non sono in grado di capire se quello che avvertono è dovuto all’accelerazione della capsula o alla gravità. I due sistemi sono completamente equivalenti? Qualunque esperimento avrà lo stesso esito sia che si compia nella prima che nella seconda capsula? Giungiamo quindi alla conclusione che da questa equivalenza discende che anche nella capsula ferma e soggetta alla gravità si osserva una differenza nello scorrere del tempo tra pavimento e soffitto! Si noti che quest’ipotesi, oggi noto come “Principio di equivalenza di Einstein” non appartiene all’ambito della relatività ristretta, ma fu per Einstein il punto d’inizio per la costruzione di una teoria più ampia nota come relatività generale. Un’importante conseguenza di questa ipotesi è aver trovato un supporto teorico all’osservazione sperimentale dell’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale; in parole povere si spiegava finalmente perché nelle due relazioni F = m a e F = G \frac{M m}{d^2} i valori di m coincidono.

Quindi supponendo valido il principio di equivalenza di Einstein vale la stessa relazione\Delta \tau \approx \left( 1 - \frac{g h}{c^2} \right) \Delta t tra un orologio posto al livello del mare e uno in alta montagna; quest’ultimo sarà infatti più veloce del primo. Questi scarti non sono dovuti al movimento, dal momento che la capsula è ferma sul pianeta, ma unicamente alla presenza della massa del pianeta.

Anche se gli scarti tra i due orologi sono estremamente piccoli risultano perfettamente rilevabili; la prima conferma di questo fenomeno è stata effettuata mediante degli orologi atomici installati su aeroplani (esperimento di Hafele-Keating del 1971) a confronto con identici orologi lasciati a terra3Questo esperimento evidenziò sia la dilatazione dei tempi prevista dalla relatività ristretta che quella risultante dal principio di equivalenza. Le moderne tecnologie permettono di verificare in maniera molto più diretta la dilatazione temporale, tanto che questo tipo di rilevazioni iniziano ad avere applicazioni nella geodesia ovvero la misura della Terra. Inoltre è noto che i sistemi di rilevamento satellitare come il GPS non potrebbero funzionare senza se non si tenesse conto dei fenomeni dovuti alla relatività ristretta e quella generale. Su ciascun satellite è infatti installato un orologio atomico in modo da inviare ad intervalli regolari dei segnali verso la Terra. Un errore anche minimo nella nella misura dei tempi renderebbe completamente inaffidabile il sistema di rilevazione; pertanto nel calcolare la posizione si deve tenere conto degli effetti combinati della relatività ristretta e generale nella scansione del tempo.

Un secondo esperimento mentale conduce a delle conseguenze altrettanto interessanti: una sorgente luminosa emette un segnale perpendicolare al moto della capsula e attraversa all’istante t=0 una piccola apertura presente nella capsula in accelerazione. Durante il moto del segnale luminoso la capsula si sposta e pertanto la luce incontra la parete opposta un po’ più in basso rispetto a dov’era entrata: l’osservatore nella capsula percepirà il moto del raggio di luce come parabolico. Se la velocità della capsula è bassa la deviazione del raggio di luce può essere ricavata dalla formula classica e risulta essere \Delta y = - \frac{1}{2} \frac{al^2}{c^2}.

Il raggio di luce viaggia in linea retta per l’osservatore in quiete, ma all’interno della capsula in accelerazione il suo moto è percepito come parabolico.

Ci chiediamo, cosa avviene quando si replica questo esperimento nella capsula ferma sul pianeta? Per il principio di equivalenza dovremmo poter rilevare una deviazione della luce anche all’interno della seconda capsula! Questa deviazione, perfettamente indistinguibile dalla prima, sarebbe dovuta alla sola azione della gravità del pianeta e ciò sembra quasi un controsenso, dal momento che il quanto di luce, il fotone, non ha una massa e pertanto dal punto di vista classico non dovrebbe essere soggetto alla gravità.

Queste considerazioni condussero Einstein a supporre che la presenza di una massa producesse una variazione della geometria dello spazio-tempo; impiegò alcuni anni per sviluppare completamente la sua teoria della relatività generale, che pubblicò nel 1916. Le conferme sperimentali non tardarono ad arrivare: il 29 maggio 1919 un’eclissi solare permise a Arthur Eddington di osservare le stelle in prossimità del Sole che rilevò come la loro posizione differiva da quella prevista. La considerevole massa del nostro astro, deformando lo spazio-tempo conduce la luce a percorrere traiettorie non rettilinee.

Tale fenomeno si verifica quando una stella massiccia o una galassia si frappone tra noi e un altro oggetto luminoso; ciò che si osserva va sotto il nome di “lente gravitazionale”. Questo effetto ha permesso di ipotizzare l’esistenza di fenomeni che oggi vanno sotto il nome di buchi neri, ovvero una zona dello spazio in cui la gravità è molto forte e lo spazio talmente piegato che la luce non se ne può allontanare. Affinché si verifichi un fenomeno così estremo la massa all’interno del buco nero deve essere veramente molto grande e, in prossimità del confine di questo spazio (il cosiddetto orizzonte degli eventi) anche il fenomeno del rallentamento degli orologi può diventare significativo: un orologio che si trova vicino all’orizzonte degli eventi sarà più lento; qui pochi minuti potrebbero corrispondere a ore o giorni rispetto a chi invece si trova lontano.

Un buco nero è un fenomeno che verifica quando un’enorme massa è concentrata in un volume molto limitato. Quest’oggetto non è visibile, ma la luce delle stelle sullo sfondo risulta deviata dalla sua massa, come se fosse presente un’enorme lente.

Questo suggestivo fenomeno è stato usato come espediente narrativo nel noto film di fantascienza del 2014 di Cristopher Nolan, Interstellar a cui ha collaborato il fisico Kip Thorne (Premio Nobel nel 2017) in qualità di produttore esecutivo e consulente scientifico.